Giovedì 9 ottobre 2025

Un’esperienza indimenticabile, tra volontariato e solidarietà

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Ogni anno la Fondazione Giuseppe Tovini di Brescia offre la possibilità di prendere parte a una nutrita serie di progetti nell’ambito della cooperazione e del volontariato internazionale. Essa si svolge in accordo con alcune scuole superiori, tra cui anche l’Istituto Don Milani, la scuola superiore che ormai frequento da cinque anni.
Non conoscevo questo ente e le opportunità che offre, fino a quando il mio professore di religione ha dedicato un’ora di lezione alla presentazione di un’iniziativa di PCTO che si sarebbe svolta in una dimensione internazionale, il cui obiettivo era quello di inserire gli studenti all’interno dei progetti di sostegno allo sviluppo che la Fondazione realizza nella regione di Iringa, in Tanzania, attraverso un periodo di permanenza presso il villaggio di Kilolo di circa venti giorni.
Che sia merito della voglia di mettermi in gioco o del mio desiderio di scappare dalla vita quotidiana, ho deciso di imbarcarmi in questa incredibile avventura. Da subito sono iniziati i preparativi in vista del viaggio e i quattro incontri svolti presso la sede della Fondazione a Brescia volti a spiegarci tutto ciò che era necessario conoscere – dai vaccini da fare a cosa
mettere in valigia – si sono conclusi con diciassette ragazzi all’aeroporto di Milano Malpensa, muniti di passaporto, energia da vendere e forse anche un pizzico di paura. Dopotutto quello è stato il vero inizio.
Dopo due giorni di viaggio, siamo finalmente arrivati a destinazione e il tempo ha cominciato a dilatarsi: potrei giurare di aver vissuto una vita intera lì e allo stesso tempo venti giorni sono volati senza che me ne accorgessi.
La graziosa casetta in legno in cui abbiamo alloggiato sarà per sempre un po’ anche casa mia e i sorrisi dei bambini della primary school, a cui abbiamo insegnato qualche semplice nozione di inglese, rimarranno tra tutti uno dei miei ricordi preferiti. Così come anche Mudy, Zacayo e Joeli, che sono stati guide sicure all’interno di una società a noi sconosciuta e – diventando traduttori in certi momenti e cuochi in altri – ci hanno insegnato tanto e per questo sono loro grata. Non posso non citare i ragazzi della secondary school, che mi hanno strappato una risata chiedendomi se in Italia ci sia ancora la dote o se si sia liberi di dirsi “ti amo”.
Un pensiero speciale lo riservo ai bambini dell’Amani Center, l’orfanotrofio locale, i quali avevano una luce diversa negli occhi rispetto agli altri piccoli abitanti che ho conosciuto. Parlando di diversità, vorrei esprimere l’enorme rispetto che nutro nei confronti di Salome, una donna fortissima e una mamma eccezionale, che oltre a prendersi cura dei suoi due figli si occupa anche di diciassette ragazzi con disabilità, all’interno di una casa che, pur essendo sprovvista di numerosi arredi, è sicuramente colma di affetto.
Le memorie sono tante e le parole per esprimere ciò che esse hanno suscitato in me non saranno mai abbastanza. L’unica cosa certa è che alla domanda: “Cosa ti sei portata dietro da questa esperienza?” io risponderò sempre “tanta felicità” e credo che questo sia tutto quello che conta.
Sophia Spada, classe quinta A liceo delle scienze umane
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